Una lettera che cambia il destino

“A Letter to the President” di Roya Sadat, prima donna regista afghana, è tra i film del 2017 in corsa per l’Oscar 2018 come miglior pellicola straniera. Un racconto – denuncia al femminile: da un lato la vicenda personale di una donna che viene mandata al patibolo, dall’altro il dramma collettivo delle afghane che subiscono violenza e la giustificano.

Per convincere il Presidente della sua innocenza e ottenere la grazia, la protagonista gli invia una lettera nella quale narra la realtà dei fatti manifestando la propria innocenza.

Presentato durante la terza giornata dei Dialoghi di Spoleto, applaudito dal pubblico e dalla critica, il film ha avuto una gestazione di ben 12 anni. Alka Sadat, produttrice e sorella della regista, racconta come sia stato difficile realizzarlo a fronte di continui ripensamenti da parte dei produttori che te  e poi si tiravano indietro. Drammatico, psicologico e realista, “A Letter to the President” è una testimonianza del patriarcato e della condizione femminile in Afghanistan identificate nella storia di Soraya, interpretata da Leena Alam, l’attrice che ha lavorato con Barmak Akram ne  “Il bambino di Kabul”.
Coinvolti nella vicenda anche i bambini della protagonista che, ignari del tragico destino della madre, giocano in giardino.

Ancora una volta, come accade nella vita, la causa di tutti i guai di Soraya è un uomo, il suo collega Behzad che si rode, schiacciato dai sensi di colpa, per aver causato la condanna della donna. Inoltre, in caso di morte, i figli saranno affidati al nonno mafioso. Quando Soraya va incontro al patibolo il Presidente ancora sta leggendo la sua lunga lettera: finirà di leggerla? La grazierà? Sarà in grado di opporsi alla sentenza della corte?

La pellicola, tinteggiata con i colori a pastello tipici del cinema mediorientale, resterà nella storia della filmografia come testimonianza di un’arma non violenta per il cambiamento sociale. A ricompensa dei problemi affrontati dalle due sorelle e della scarsissima presenza di spettatori alla proiezione di Kabul. Donne come le Sadat e il loro cinema sono un simbolo, un esempio per migliorare la qualità della vita di tutte.

Va ricordato che l’Afghanistan è al centosessantanovesimo posto nella graduatoria del Gender Inequality Index calcolato dalle Nazioni Unite. La speranza di vita delle donne afgane è di 62 anni, bassissima. Gli analfabeti sono più di 10 milioni, il 60% sono donne. Addirittura, fra le giovani, le analfabete sono il 70%. Pochissime lavorano, solo il 13% tra le ragazze. Estromesse dal lavoro, escluse dall’istruzione, le donne afgane fanno fatica a trovare un proprio percorso di liberazione.

Elios
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