La fantascienza? E’ nata in Russia.

Aleksandr Bogdanov è ricordato come il bolscevico che con Lenin fece la Rivoluzione del ’17, il politico, il filosofo, l’economista, uno dei fondatori della sfera moderna culturale russa. In realtà fu molto di più: personaggio geniale, inventò le trasfusioni di sangue e fu il primo scrittore di fantascienza. Aleksandr Aleksandrovich Bogdanov nasce a Tula, 10 agosto 1873 e muore a Mosca, 7 aprile 1928.

Alcuni ricorderanno in Aleksandr Bogdanov il teorico della conoscenza avversato da Lenin nella sua maggiore opera filosofica, Materialismo ed empiriocriticismo. La pubblicazione recente degli scritti bogdanoviani sull’organizzazione lo rivela anticipatore delle moderne teorie dei sistemi, delle catastrofi, della complessità, per aver fondato una disciplina dal nome lievemente evocante capricci futuristi, la «tecnologia». Fu il capo dei bolscevichi nella rivoluzione del 1905. Credendo che il potere si basi, non sul possesso dei mezzi di produzione, ma sul dominio della cultura organizzativa, fondò ilgiornale “Proletari”, l’organismo che avrebbe avviato il proletariato a una cultura radicalmente nuova e, quindi, al nuovo potere. Economista, sociologo, scienziato della natura, filosofo, critico d’arte, psicologo, medico, sempre bizzarramente geniale. Morì scegliendo di tentare su di sé un esperimento clinico, nel 1928, precedendo le persecuzioni di Stalin che non lo avrebbero risparmiato. Una vita, insomma, somigliante al racconto di uno di quegli scrittori amanti degli ingegni estremi, irrequieti, tenacemente curiosi, che sembrano sondare, nell’arco breve di un’esistenza, tutta la grandezza e i dolori di un umanesimo eterno.

La stella rossa. Romanzo-utopia è del 1906: uno sconfitto della rivoluzione si reca, grazie a un prodigio della scienza, su Marte dove da secoli un socialismo «tecnologico» rende felice la vita sociale. Cronache marziane all’origine della fantascienza sociologica del Novecento, con una patina di ottimismo sfagliata appena da una traccia di dubbio, da una punta scettica e malinconica in cui potrebbe prefigurarsi l’ombra dell’antiutopia di Orwell e Zamjatin. Oppure in cui potrebbe prefigurarsi un’altra preoccupazione: che la vera catastrofe sia che non ci sarà catastrofe, che il futuro non sarà che un presente un poco diverso, facendo del balsamo dell’utopia una ingenua futilità.

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