Un libro di Angelo Tonelli, La degenerazione della politica e la democrazia smarrita. Una nuova etica per la sopravvivenza della civiltà. Articolo di Isabella Tedesco Vergano. Ci sono libri che, lungi dall’invecchiare, possono rinnovarsi non solo nel titolo, che attiene al presente, in cui l’autore riversa la sua meditazione di ieri che si protrae nell’oggi.
La degenerazione della politica e la democrazia smarrita. Una nuova etica per la sopravvivenza della civiltà di Angelo Tonelli è riedizione 2018 di Sperare l’insperabile. Per una democrazia sapienziale del 2010.
In questo libro si riflette la convergenza, nella prassi esistenziale di Angelo Tonelli, fra il filosofo e il poeta, che si fondono e si innervano nella sua intensa attività di grecista, di maestro nel senso più vasto del termine, (che si esplica nella sua scuola “Arthena” di Lerici, che ha da poco celebrato i 20 anni e nei numerosi seminari e conferenze che tiene in varie città italiane), di ideatore e organizzatore di convegni di grande respiro culturale, come Mythoslogos che da 5 anni ricrea in Lerici la cultura greca antica con conferenzieri di altissimo livello. Occorre una nuova etica per la sopravvivenza della civiltà. Gli esseri umani hanno bisogno di rientrare in una dimensione più razionalmente caratterizzata, in cui la condizione della mente sia predisposta a cogliere l’essenza dell’essere e del divenire collocati nella dimensione fisica e metafisica, ma hanno anche bisogno di aprirsi alla percezione della bellezza naturale e sacra e di acquisire la capacità di raccogliersi e di contemplare.
Nel primo capitolo del libro intitolato “Stat nuda veritas” l’autore denuncia la drammatica realtà odierna e a questa contrappone una sintetica, lapidaria e illuminante affermazione di Eraclito: “la conoscenza di molte cose non insegna l’intuizione profonda (noon)” così chiosandola: “E noos è la forma più alta di conoscenza.” (p.30) L’intuizione profonda si esplicita nel famoso frammento di Eraclito: “Se non speri l’insperabile non lo scoprirai, perché è chiuso alla ricerca e a esso non conduce nessuna strada” (Eraclito 22B18DK) (p.33).
Nel capitolo III, “Alla scuola del sapiente”, l’autore mette in evidenza che, per raggiungere questa capacità di penetrazione, occorre “mettere in contatto la mente razionale o ego con l’inconscio pulsionale e simbolico attraverso metodi adeguati di integrazione, e con la mente di base illuminata, che va scoperta come uno specchio su cui si sia depositata polvere, attraverso la meditazione.” (p. 54)
Lo studio dei testi degli antichi Sapienti, detti Presocratici prima delle ricerche di Giorgio Colli, costituisce una importante base filosofica su cui costruire questa trasformazione, a seguito della quale è possibile quel poiein in cui confluiscono sapienza e poesia, che per i Presocratici si riversavano nella vita di una civitas libera e illuminata. Ricordiamo che Parmenide, Eraclito, Zenone, Melisso, Empedocle furono “impegnati direttamente e ufficialmente nella politica” (p.81)
Strettamente collegata al pensiero sulla intuizione profonda è la concezione panteistica di Eraclito, condensata nella affermazione “…sapienza è intuire che tutte le cose sono Uno e l’Uno è tutte le cose” (22 B50DK ) (p.55). E Angelo Tonelli vede in questa intuizione eraclitea “una sintesi originale della Sapienza occidentale e orientale, grazie anche al luogo in cui ( Eraclito ) visse, la Efeso ionica, vera e propria soglia tra mondo ellenico e Impero Persiano, a sua volta mediatore tra cultura ellenica e Estremo Oriente.” (p.55) In questa dimensione unitaria dell’Essere e del Divenire la tradizionale suddivisione di tempo in presente, passato e futuro si annulla in un “eterno acronico”, (p.56) in cui il sé si identifica con il cosmo.
In alcuni paragrafi del III capitolo l’autore raggiunge l’apice dei suoi approfondimenti ermeneutici e anche della sua tensione poetica quando parla dell’homo novus: “colui che si centra nella radice silenziosa e lucente della propria interiorità che è anche interiorità cosmica (…), e coglie la perfetta armonia dei contrari in sé e fuori di sé, senza essere trascinato eccessivamente dalle emozioni, dai pensieri, dalle cose, perché dimora nella Sapienza” (p.58).
In queste parole è chiara la volontà di unire e al tempo stesso distinguere l’umano e il divino nell’individuazione dell’origine, del principio primordiale invisibile, in cui è contenuto il tutto che “si squaderna”, per usare un verbo dantesco, nel mondo visibile.
“le cose che appaiono sono il visibile delle cose invisibili.” (pp.59 e 73); questa frase di incerta attribuzione di un sapiente greco, citata dall’autore, mi fa pensare a Dante, La Divina Commedia, Paradiso, canto XXXIII: la famosa terzina “O luce etterna che sola in te sidi,/ sola t’intendi, e da te intelletta / e intendente te ami e arridi!” (vv.124-126), nella sua formulazione di alta, intellettuale essenzialità poetica, conclude la raffigurazione del mistero della Trinità di due terzine precedenti: “Ne la profonda e chiara sussistenza / de l’alto lume parvermi tre giri / di tre colori e d’una contenenza;/ e l’un da l’altro come iri da iri / parea reflesso, e ‘l terzo parea foco / che quinci e quindi igualmente si spiri.” (vv.115-120). Dante con icasticità essenziale, incisiva, in cui ogni parola è pregnante e vivificante, dà immagine poetica al mistero e al concetto teologico della Trinità. I “tre giri” che si riflettono l’uno sull’altro raffigurano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Il poeta esprime inoltre l’altro mistero e concetto teologico fondamentale del Cristianesimo, quello dell’Incarnazione: “Quella circulazion che sì concetta / pareva in te come lume reflesso, / da li occhi miei alquanto circunspetta, / dentro da sé, del suo colore stesso, / mi parve pinta de la nostra effige;” (vv. 127-131) Ecco l’umano dentro il divino, il divino che diventa visibile nell’umano nella nostra effige, che è quella del Cristo uomo e al tempo stesso Dio.
Commentando una frase precedentemente citata, “le cose che appaiono sono il visibile delle cose invisibili”, Angelo Tonelli nel paragrafo intitolato “Epifanie del Mistero” del III capitolo dice: “Siamo sostanze-non sostanze che entrano in contatto con sostanze-non sostanze. L’unica vera sostanza è il flusso, la continua scaturigine (Physis), armonia nascosta, Mistero (non lo si può né pensare razionalmente né, qualora fosse pensato, comunicare) da cui tutto sorge e a cui tutto ritorna.” (p.73) L’essere umano trova la sua salvezza e la sua serenità quando raggiunge la “coscienza cosmica unitaria, che è identificazione con l’Assoluto.” (p.73), alla quale può arrivare con un percorso iniziatico di “identificazione mistica con il Principio” (p.74), percorso che conduce alla Sapienza noetica, cioè intuitiva.
Ma i polloi, i più fra gli umani rimangono chiusi in un orizzonte personale e ristretto. Eraclito deluso da tale meschinità e grettezza, si ritirò sui monti dove si nutrì di erbe e piante selvatiche. Delusione del Sapiente, che voleva comunicare pensieri alti e ispirare comportamenti adeguati, delusione del politico, che voleva rendere i suoi simili pacificati nel dominio dei contrasti, derivati dal prevalere degli istinti, e liberi nella acquisizione di una spiritualità rigenerata e vitalizzante guidata da serena saggezza e da consapevolezza dell’essere in una unità armonica. Ancora penso a Dante e in particolare alla terzina conclusiva del canto XXXIII del Paradiso e conclusiva di tutto il viaggio ultraterreno del poeta, che è giunto a cogliere in una folgorante visione il Mistero della Trinità e dell’Incarnazione: “ma già volgeva il mio disio e ‘l velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’amor che move il sole e l’altre stelle.” Qui Dante esprime l’acquisizione di un armonico fluire del suo esistere dentro il più grande flusso del cosmo, regolato da un principio che si estrinseca in virtù d’amore. E questa concezione di amore come forza generatrice e rigeneratrice porta in sé un profondo afflato poetico proprio nella proiezione dell’umano verso l’infinito e nella tensione verso immagini e pensieri in cui si scioglie il dualismo esistenziale. Dante conclude la Commedia riconducendo tutti i fili ad una unitarietà originaria, al Principio che tutto comprende e unifica.
Gli antichi Sapienti Eraclito, Parmenide, Zenone, Melisso, Empedocle furono anche impegnati nella politica e furono poeti. Fra loro Eraclito lasciò il messaggio più incisivo e poetico: “sperare l’insperabile” riguarda la partenza, la semina e con energia rivoluzionaria e rigeneratrice si pone come tensione carica di tutte le attese e proiettata non solo verso un esito voluto e sperato di vita, ma anche verso una imponderabile e misteriosa “armonia nascosta”, tensione che accompagna un percorso iniziatico che conduce alla Sapienza. E Sapienza è raggiungimento di “coscienza cosmica unitaria, che è identificazione con l’Assoluto”. (p.73)
Il daîmon poetico di Angelo Tonelli spazia in un ambito planetario e accoglie nella sua spiritualità tanti apporti, come quelli importantissimi della alta meditazione d’Oriente, e li unifica facendoli confluire in un approdo esistenziale panico e nella tensione fideistica e visionaria verso un’origine infinita, che è continuità pensata e proiettata anche negli eventi umani vissuti col distacco del Sapiente e con la volontà di irraggiamento di una positività dell’essere e dell’esserci.
L’apporto fondamentale, il nutrimento primario del suo daîmon è radicato nel mondo greco antico in relazione alle forme della tragedia, della lirica e della filosofia, che hanno contribuito a formare il suo humus sapienziale, che tende a tradursi in un pensiero totalizzante rivolto all’uomo di oggi e alla civitas di oggi con l’esortazione a “sperare l’insperabile”, per far convergere i contrari in una superiore sintesi, sulla quale creare un possibile modus vivendi in cui enucleare come perle preziose le creazioni sublimi dell’umanità.