Dante, politico concreto e abile ambasciatore dei Malaspina

La situazione politica in Lunigiana al tempo di Dante. Dante nel 1306 si trovava in Lunigiana. Durante i primi anni del suo esilio aveva trovato ospitalità a Verona presso gli Scaligeri, ai quali i Malaspina erano legati da rapporti di parentela e vincoli politici. I Marchesi sapevano che Dante aveva partecipato alla vita pubblica fiorentina, anche come delegato in ambascerie e ne conoscevano la fama di letterato, appartenente alla nuova scuola poetica del “dolce stil novo”, stimata nelle corti malaspiniane, soprattutto presso Franceschino di Mulazzo.

Per comprendere meglio la partecipazione di Dante agli eventi di Castelnuovo e della Lunigiana, è necessario fare una breve premessa che ci aiuti a delineare la situazione e il quadro politico di quegli anni. Il territorio della Lunigiana era in parte governato dal Vescovo-Conte e in parte dai Malaspina, soprattutto il ramo dello Spino Secco, i loro feudi però non erano nettamente separati, ma si incuneavano gli uni con gli altri rendendo così incerti i confini, addirittura i diritti feudali di alcuni paesi erano divisi tra i marchesi e il vescovo. Proprio a causa di queste terre in comune, nel 1280 era scoppiata una guerra tra il vescovo Enrico da Fucecchio e i marchesi di Mulazzo e Villafranca per il castello della Brina. In seguito fu stipulata la pace, ma il clima di ostilità non era cessato, sarebbe anzi degenerato in una seconda guerra al tempo di Antonio da Camilla, Vescovo sotto il quale si collocano gli eventi che riguardano Dante Alighieri. Antonio da Camilla era stato consacrato da papa Bonifacio VIII nel 1297, due anni dopo la morte di Enrico da Fucecchio, proprio quando ricominciarono le liti tra il Vescovo e i Malaspina, questa volta in merito alle terre e ai castelli di Bolano, Bibola, S. Stefano e Brina. Nel 1299 i Marchesi occuparono le terre vescovili di Sarzana, Carrara ed Avenza. L’iniziativa fu presa da Franceschino di Mulazzo che penetrò in Sarzana, desiderosa di sottrarsi al potere vescovile. A questo punto scoppiò la guerra. Sarzana, Sarzanello, Carrara, Ponzano, Bibola, S. Stefano e Bolano erano favorevoli ai Marchesi, mentre i signori di Fosdinovo e Falcinello si schierarono con il Vescovo.

La guerra si protrasse per sette anni in un susseguirsi di incendi, saccheggi e danni, portando rovina a tutte le parti che vi erano coinvolte. Era necessaria e ormai inevitabile una risoluzione politica del conflitto e si cercava di conseguenza un negoziatore abile e di prestigio che venisse accettato dalle due parti. Inoltre il vescovo Antonio era cugino di Alagia, sposa di Moroello di Giovagallo, probabilmente anche questo legame familiare contribuì all’avvicinamento degli avversari in un sentimento comune di pacificazione. È naturale pensare che la donna abbia perorato la causa della pace con il marito: soprattutto dopo la stipulazione del trattato, quando Moroello era l’unico fra i Malaspina fortemente indeciso. Nel 1306 Dante si trovava ospite proprio presso Franceschino di Mulazzo. È probabile che egli abbia visitato i luoghi della guerra rendendosi conto di persona di quanto fosse grave la situazione, così quando il Vescovo e i Marchesi decisero di concludere la pace fu chiesta la sua mediazione. Abbiamo a riguardo due documenti che ci testimoniano l’opera di Dante in terra di Lunigiana. Entrambi sono datati 6 ottobre 1306, scritti dal notaio Giovanni di Parente di Stupio, il primo a Sarzana e il secondo a Castelnuovo. La procura dell’incarico a Dante. Nel primo si legge chiaramente che Franceschino Malaspina:

«. fecit, constituit, et ordinavit suum legitimum Procuratorem, Actorem, Factorem,

et Nuncium specialem Dantem Alegieri de Florentia ad pacem, sedationem,

quietationem, remissionem, et finem perpetuum recipiendum

a Venerabili in Christo Patre et Domino Domino Antonio Dei gratia L unensi Episcopo.»

Quindi il Marchese nomina Dante come suo legittimo procuratore, mediatore, esecutore e ambasciatore speciale, conferendogli un ampio mandato. Viene sottolineata la necessità di porre fine a tutte le ingiurie, guerre, inimicizie che erano state perpetrate dai Malaspina, dai loro amici e alleati nei confronti della chiesa di Luni «.. et singulis iniuriis, guerris, inimicitiis, offensionibus, incendiis, dapnis, rebellionibus, vulneribus, homicidiis, et quibuscumque aliis delictis, seu enormitatibus perpetratis, tractatis vel Contractis per Franceschinum, et Dominum Morroellum, et Conradinumfrates.. et amicos subditos, et sequaces ipsorum.».Queste righe ci attestano quindi l’ammissione di responsabilità da parte dei Marchesi.

Era compito poi del procuratore Dante stabilire i patti, le condizioni, le obbligazioni, le promesse, le ammende e gli obblighi «.cum illis pactis, conditionibus, et causis, modis, tenoribus, promissionibus, poenis, et obligationibus de quibus ipsi Procuratori videbitur.» e lo stesso Franceschino di Mulazzo si sarebbe poi adoperato perché anche Corradino di Villafranca e Moroello di Giovagallo li ratificassero. Il Marchese sembra disposto ad accettare qualsiasi condizione pur di giungere alla pace: persino un’ipoteca sui beni presenti e futuri e si impegna inoltre a far accettare la pace con tutte le condizioni anche al cugino Corradino. L’atto fu rogato in piazza della Calcandola «in Platea Calcandulae», a Sarzana dal notaio. Quali testimoni figuravano Frate Guglielmo Malaspina dell’ordine dei Minori, Bartolomeo Tanaregia da Lucca, cavaliere e Messer Tomasino giudice, fratello di Parente di Stupio. Erano circa le sei del mattino, ante Missam prima della messa.

Il trattato di pace. Il secondo documento invece è il vero e proprio contratto di pace, redatto a Castelnuovo e specifica tutte le condizioni che le due parti dovevano rispettare. La redazione dell’atto avvenne nella «hora tertia», ossia verso le nove nella sala del palazzo episcopale «.actum in Camera Episcopalis Palatii de Castronovo.», alla presenza di altri testimoni, oltre a quelli che avevano accompagnato Dante da Sarzana. Infatti era presente tutta la corte del Vescovo di cui facevano parte quel giorno Bartolo, arcidiacono di Luni, Percivalle da Camilla, fratello del Vescovo, fra Gasparino da Sarzana, Mazingo da Prato e il giuristaa Franceschino di Pietro Pellacane. Il poeta e il vescovo ammettono che è da troppo tempo ormai che sono nate guerre, inimicizie ed odi e addebitano tutto ciò al potere del demonio «. Diucius diabolica exuperante potentia, inter Venerabilem Patrem Dominum Dominum Antonium Dei gratia Lunensem Episcopum et Comitem et Magnificos Viros et Excelsos Dominos Morroellum, Francischinum Conradinum et Fratres Marchiones Malaspinae, guerris, inimicitiis, odiisque subortis, ex quibus homicidia, vulnera, caedes, incendia, vasta dapna et pericula plurima sunt secuta, ac Provincia Lunesana diversi modo lacerata.». Vengono citate le parole del Signore «. Pacem meam do vobis, Pacem meam relinquo vobis» e il vescovo riconosce che è in considerazione e in virtù di questo suggerimento divino che ha deciso di accettare e offrire ai marchesi Malaspina la pace, anche a nome dei suoi alleati, Puccio e Francino della Musca, figli di Fazio, nobile di Falcinello e a nome di tutti i suoi sudditi. A questo punto ricorda di aver ricevuto quella stessa mattina la procura data a Dante dal marchese Franceschino, poi accetta la pace e a sua volta la offre.

E’ Franceschino che parla e agisce tramite la figura di Dante e si ripromette di indurre alla ratifica entro quindici giorni anche Moroello di Giovagallo, l’unico dei Marchesi, che in queste trattative, sia rimasto apparentemente scettico e in disparte. Viene anche sottolineato il fatto che le conclusioni dello “strumento” vincoleranno non solo i Malaspina, ma anche i loro alleati. Il Marchese Franceschino si impegna quindi a far sottoscrivere a tutti le condizioni di pace «.pro omnibus et singulis hominibus terrarum ipsorum Dominorum Marchionum et sequacium eorundorum, videlicet parte ipsorum Dominorum Marchionum de Sarzana et Castro Sarzanae, Comune et hominibus de Carraria, Comune et hominibus de Ponzano, Comune et hominibus de Ribola; Pars de S. Stefano et Bolano.». Finalmente vengono elencate dal notaio tutte le clausole.

Le condanne e i processi svolti o da svolgersi dovevano essere annullati; tutte le terre, occupate durante la guerra precedente, dovevano essere restituite, i diritti su Brina e Bolano, che avevano scatenato aspre contese, sarebbero rimasti nello stesso stato in cui si trovavano per un lasso di tempo stabilito dal Vescovo e da Franceschino, dopo il qual termine ciascuno di essi poteva esercitare i propri diritti in quei territori senza però contravvenire alle clausole di pace. Inoltre se Franceschino non fosse riuscito a convincere Moroello, sarebbero caduti automaticamente gli obblighi del Vescovo verso lo stesso Moroello, ma questo non avrebbe intaccato l’obbligo della pace verso tutti gli altri contraenti del patto. Infine una multa di mille marchi d’argento veniva comminata a chi avrebbe osato contravvenire alle clausole del trattato. Dopo la lettura il Vescovo e Dante si scambiarono un bacio in segno di vera e perpetua pace «.in signum verae et perpetuae pacis Dominus Venerabilis Pater Dominus Episcopus et Dante praedictus sese ad invicem osculantur.» .

Nell’atto del notaio non appaiono le firme di Dante e del Vescovo, a quei tempi infatti il notaio accertava e trascriveva la volontà delle parti sul suo cartulario, da cui poi, se richiesti, sarebbero stati estratti i documenti da consegnar loro. La mancanza delle firme quindi non pregiudica assolutamente la validità giuridica del documento. Si concluse così l’incarico di Dante a nome dei Malaspina, in terra di Lunigiana. Egli aveva contribuito alla ratificazione di una pace che sarebbe perdurata poi negli anni successivi. Dietro a questi documenti e all’ideale di serenità politica che viene proposto, esiste tutto un difficile lavoro di mediazione e di diplomazia a cui il poeta non si era sottratto, ma impegnandosi in prima persona ad attutire gli odi e predisporre gli animi a quelle concessioni reciproche che sono sempre fondamentali e necessarie per chiunque voglia raggiungere un accordo politico.

Conseguenze della pace. Effettivamente le clausole furono applicate con solerzia, perché nel periodo immediatamente successivo al trattato il vescovo Antonio da Camilla, proprio da Castelnuovo, annullava processi e sentenze e revocava le numerose scomuniche, segno questo che anche Moroello di Giovagallo aveva partecipato alla ratifica.

I rapporti tra il Vescovo e i Marchesi, soprattutto con Franceschino, rimasero sempre amichevoli, tanto che il Vescovo lo nominò proprio esecutore testamentario. La sua morte avvenne pochi mesi dopo questi importanti avvenimenti. Di fatto, quindi, la pace con i Marchesi era assicurata, ma certamente le risorse economiche e politico-militari del vescovado lunense avevano subito un duro colpo. Si era invece accentuata l’influenza marchionale. Prova convincente di questo fu non solo la scelta di Franceschino di Mulazzo come esecutore testamentario, ma anche il fatto che tentò di succedere ad Antonio da Camilla proprio quel fra Guglielmo Malaspina che era stato testimone dell’accordo del 1306. In realtà fu poi prescelto Gherardino Malaspina degli Obizzi di Lucca.

Cronaca della visita di Dante a Castelnuovo Magra tratta dal discorso dell’insigne dantista senatore Isidoro Del Lungo, letto a Sarzana la sera del 6 ottobre 1906.

“Erano ormai passati più che vènt’anni, ma a quei tenaci rancori pareva appena ieri, che i castelli della Brina e di Bolano, di vantata giurisdizione malaspiniana, erano stati presi dalle genti del Vescovo Enriço e dato loro il guasto, e per ordine di lui, tagliata la testa a tre donzelli che il marchese Obizzo di Villafranca aveva mandato a protestare contro la violenta occupazione.

La tomba dove riposa Dante
La tomba dove riposa Dante

Né si erano fatte aspettare, da parte dei Malaspina le rappresaglie e le vendette sui poveri vassalli del Vescovo, specialmente presso Sarzana, e l’invasione di altri suoi possessi, e il riacquisto di Brina e Bolano: e in tale stato di guerra, nonostante interventi au­torevoli persino del Papa, marchesi e vescovo erano rimasti fino a quel 6 ottobre del 1306, che Dante Alighieri da Fiorenza, il Guelfo Bianco ospite dei Malaspina, aveva accettato dal marchese Franceschino il mandato di suo legittimo procuratore attore fattore e messo speciale.

Il mandato era, a ricevere dal venerabile Vescovo e Conte, per sé e suoi successori e amici e seguaci, pace e perpetua fine di tutte e singole le ingiurie e guerre e d’ogni sorta violenze, delitti, enormità, a danno di lui e della Chiesa di Luni perpetrate e trattate dai marchesi Franceschino, Moroello e Corradino e fratelli di questo (quei giovanetti anche minorenni rispondevano del già fatto, insieme co’ due fieri cugini, dal padre loro Obizzo morto); e simile pace e fine lo stesso procuratore rendere ad esso Vescovo per essi i nominati marchesi di Mulazzo, di Giovagallo e di Villafranca, e i di loro amici sudditi e seguaci de’ quali a lui parrà e piacerà, secondo quei patti e condizioni e modi che ad esso procuratore parrà; con promettere espressamente la ratificazione che il marchese Franceschino avrebbe procurato da Corradino e fratelli suoi; e con pieno affida­mento che quanto egli Dante farebbe a nome del marchese Franceschino sarebbe come se fatto dal marchese medesimo, se fosse presente, senz’ alcun pregiudizio per l’assenza di lui.

L'interno della tomba dove riposa Dante
L’interno della tomba dove riposa Dante

“Era la mattina del 6 ottobre, nell’ora prima innanzi messa, in Sarzana sulla piazza della Calcandola: si rogava dell’atto ser Giovanni di Parente di Stupio, notaro sarzanese, presenti frate Guglielmo Malaspina dell’ ordine de’ Minori, Bartolmeo Tanaregia da Lucca cavaliere, messer Tommasino giudice fratello del notaro. Dopo di che, saliva Dante al Castello; ed ivi a terza, nella camera dell’episcopio era ricevuto dal Vescovo Conte, circondato dai suoi parenti, ufficiali e dipendenti: uomini di chiesa e di toga, e per mano di quello stesso ser Giovanni si fermava la pace. Alle truci reminiscenze dell’esordio succedevano nell’ atto parole di santimonia e di umanità. Il Vescovo e i Marchesi volevano tenersi neIl’esempio del Padre celeste, che agli Apostoli suoi aveva detto «.Pacem meam do vobis; Pacem meam relinquo vobis» e quella per trattato dei due frati Minori, Guglielmo Malaspina e Guglielmo di Godano, abbracciavano di fatto. Pensavano essi quanto ad ogni reggimento sia desiderabile la tranquillità, per cui la virtù, che quant’ella sia può appena comprendersi, si vantaggiano i popoli, si assicura l’utilità pubblica madre bella delle buone arti, l’umana generazione viene accrescendosi di numero di facoltà di costume: e, mediante il lume della divina grazia, si facevano gloria della pacificazione e onesto vivere degli amici e seguaci e sudditi loro. Seguivano le promesse e i patti, coi quali le due parti contraenti davano e ricevevano pace per sé e suoi uomini e seguaci. Del Vescovo e Conte e della sua Chiesa di Luni: i nobili di Fosdinovo, i della Mosca, di Falcinello, e gli uomini delle terre e castelli della chiesa e del contado di Luni, appartenenti al Vescovo e alla chiesa sia in comune sia privatamente. Uomini e seguaci dei tre Marchesi di Mulazzo, di Villafranca e di Giovagallo: gli uomini di Sarzana e di Sarzanello, Comune e uomini di Carrara, di Punzano, di Bibola, di Santo Stefano e Bolano.

Pace vera e perpetua e remissione di tutti i peccati eccessi ed offese: in segno della quale, il venerabile padre messere lo Vescovo e Dante predetto si baciavano l’uno l’altro; e che era poi specificata ne’ suoi particolari e patti e sanzioni, rispetto a ciascuno dei tre marchesi. E con peculiare riguardo ai promiscui diritti, fra essi e il Vescovo, su’ castelli della Brina e di Bolano. Prometteva Dante e riceveva, direttamente per Franceschino; mediamente per Corradino e gli altri figliuoli di Obizzo, dai quali Franceschino aveva a sua volta procura, e che dentro quindici giorni avrebbero ratificato; per Moroello, Dante prometteva come procuratore di Franceschino, che questi avrebbe fatto il possibile d’indurlo a consentire e ratificare: al qual consenso e ratificazione rimaneva, quanto a Moroello, condizionata la pace.”

Con successivi atti de’ 13, 18 e 19 ottobre, sempre nella camera del palagio episcopale, e in adempimento delle promesse fatte a Dante, come procuratore di Franceschino per esso e condizionatamente per gli altri due marchesi, il Vescovo rimesse e condonò al Potestà di Sarzana sentenze e condennagioni di uomini del borgo e castello di Sarzana, prosciolse da interdetti e scomuniche uomini e Comuni dei tre marchesati; revocò e annullò processi e sentenze contro persone espressamente nominate. Questa la pace di Castelnuovo della Magra del 6 ottobre 1306: nella quale,svaniti i Marchesati e il Vescovo, s’innalza, da uno dei pochi documenti dell’avventurosa sua vita, in veste di procuratore fra quei marchesi e quel vescovo, Dante.”. Comune di Castelnuovo Magra.

«Attraverso questa conferenza ho cercato di far capire, soprattutto ai ragazzi più giovani, quanto la sosta di Dante in Lunigiana attorno al 1306-1307, sia stata importante, non solo per lui, ma anche per la ripresa nella Divina Commedia e per i brani che dedica al paesaggio lunigianese, da Lerici fino ai monti di Carrara. Inoltre mi sono soffermata sull’importanza della missione di Dante come procuratore nella Pace di Castelnuovo Magra» ha spiegato Eliana Vecchi.

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