Enrico Ischia, La sfida della Sapienza

Sabato 14 settembre alle ore 21 nell’Oratorio ‘n Selaa di Tellaro l’Associazione Arthena con il patrocinio del Comune di Lerici e la collaborazione tecnica della Società Mutuo Soccorso di Tellaro presenta “La sfida della Sapienza”, che vede protagonista Enrico Ischia, drammaturgo trentino, con la presentazione performativa del suo libro “L’arcipelago: l’apparire del fondamento”, edito da Agorà. Oltre l’Autore e l’Editore Antonio Scollo, interverrà l’attrice Elisa Salvini, a leggere brani dal libro, e il polistrumentista Daniele Dubbini con il suo handpan, di cui è virtuoso interprete. Un percorso, introdotto da Angelo Tonelli, Direttore della collana Lo specchio di Dionisoin cui è stato pubblicato il libro, che va dalle Upanishad alla Bhagavadgitaa Eraclito, Parmenide Schopenhauer Nietzsche e si concentra in particolare su Eraclito. Ingresso libero.

In occasione di questo evento, molto importante sul piano filosofico, siamo lieti di  pubblicare la prefazione al libro “La sfida della Sapienza” di Enrico Ischia scritta  dal noto grecista Angelo Tonelli.

I testi drammaturgici e poetici raccolti in questo volume sono la condensazione nella forma dell’arte di uno scavo profondo nell’interiorità degli individui e del kósmos, a opera di un poeta-filosofo, o filosofo-poeta che si è formato in un dialogo serrato sia con i grandi Sapienti preplatonici (in particolare Eraclito, Empedocle e Parmenide), sia con quanti a loro volta tra i moderni e i contemporanei si sono misurati con essi: Nietzsche, Hölderlin, e Giorgio Colli. L’originalità dell’opera di Ischia consiste nella voce (dionisiaca, ma insieme anche astratta, rimbalzante in una sorta di eco o specchio che rimanda sempre a un invisibile sostrato unitario del cosmo), e nella rarefazione dello spazio tempo che proietta l’agire dei personaggi in una aura meta-spazio-temporale in cui krónos (il tempo dell’orologio, della storia) riverbera continuamente nell’aión (il tempo senza tempo, l’eterno presente). Nel libro i contenuti sapienziali trovano fonte di ispirazione nelle più alte speculazioni mistico filosofiche del passato e creano una visione autonoma, pronunciando con forza quel sì! alla vita che era stato espresso in Bhagavad Gitae nello Zarathustra di Nietzsche.

Il risveglio delle profonde forze universali: così si potrebbe definire il contenuto di questo libro, un percorso che i lettori possono intraprendere accompagnati dai protagonisti dei sei drammi, giovani che mettono in gioco tutto ciò che possiedono pur di dare acquietamento alla loro inquietudine interiore, ormai insoddisfatti delle risposte che la civiltà offre loro. La forma letteraria è il dramma teatrale, che favorisce, con il confronto tra persone ed emozioni diverse, lo scaturire di forze silenziose, nascoste, che via via prendono voce e parola facendosi visione chiara e memoria. Il modello è quello hoelderliniano di ‘La morte di Empedocle’, ma a differenza da esso i sei testi de “l’Arcipelago” costruiscono anche una serie di accadimenti reali, di eventi, che danno struttura e corpo al dramma.

Ci imbattiamo così in azioni dettate non da un chiaro intento razionale, da una cosciente decisione a fare, ma da impulsi irrazionali, come i comportamenti di Elena e Fania in ERMODORO come ancor più nettamente quelli di Elena in ELENA: l’interpretazione di questi impulsi irrazionali rappresenta il difficile ma affascinante compito dei protagonisti e coincide da ultimo con la visione sapienziale che ci offre l’Autore. In ERACLITO già si annuncia il compito che guiderà tutta l’opera: ma potrò tacere chi mi diede canto e libertà, lasciarlo nella sua pienezza perdurare incondiviso? La condivisione del divino rappresenta il compito dei protagonisti per sfuggire all’angoscia della solitudine, alla sua assenza nel mondo che la cattiva sapienza, delle religioni come di altre forme di pensiero, aveva reso immensa e insostenibile.

La sofferenza dei fanciulli viene sanata dalla solare universalità di India, colei che in ogni cosa, dentro e fuori di sé, scorge soltanto il divino: Così semplicemente parla a noi la natura, a noi nuovi nati, e dice che tutto ciò che appare slegato e lontano non è in realtà che un unico immenso vivere ed anche nascere e perire sono solo un gioco, ma pieno di alto significato, per manifestare intatta la presenza del divino. E ancora nel confronto aspro con il sacerdote: Tutti i soavi abitatori d’Etere danzano festosi attorno a me, per me la natura siè sbendata e l’attimo veloce è diventato piena eternità. Eccoli. Guarda! Io vedo soltanto loro, in alto, in basso, sento soltanto loro, nel silenzio, nel clamore, -soltanto loro!  nella morte e nella vita, nel destino, – soltanto loro! No sacerdote, spegni le tue brame nefande! Ti è impossibile strapparmi a questa pienezza esuberante, invulnerabile! La chiave di volta per interpretare il dramma sta proprio – come poi avverrà anche per gli altri drammi – in una parola : la presenza del divino, una presenza totale, come quella parmenidea dell’Essere, quel ‘tutto è’ che libera l’umanità angosciata e sofferente perché riporta il divino sulla terra e nell’uomo, colmando il baratro scavato dalla cattiva sapienza che sciaguratamente li separava. Accanto al dramma ERACLITO troviamo la grande lirica LONTANO DAGLI DÈI. La forma è quella del romanzo epistolare

e il fanciullo rimasto solo evoca la presenza interlocutrice di India, conosciuta prima insieme agli altri. Adesso però la sua esperienza diventa intima, personale, senza condivisione e aiuto. La lirica riprende tutti i temi dell’ERACLITO, il dolore e l’angoscia della solitudine dovuti all’assenza del divino, ma ne aggiunge altri, l’abbandono, la negazione buddistica della volontà di vita. Si sperimenta l’assenza di volontà, il vuoto che non ha confini, il nirvana dove tutto è puro e zero. Ma lì, proprio lì dove niente più rimane e tutto si perde nel silenzio indicibile, si rende percepibile l’ultima sorprendente presenza: anche in quello che noi chiamiamo assenza di volontà, anche nel più estremo stato di negazione della vita lì c’è lei, India, lo spirito della vita che è tutto, in ogni stato fisico e mentale, dentro la morte, il buio, il vuoto, il silenzio… lei. E allora tutto deve ricominciare, dal fondo lentamente tutto riprende vita e presenza, la natura si fa di nuovo accogliente, gli dèi tornano, tutto si illumina e parla. Quella è la realtà. La ritrovata presenza del divino nel mondo rappresenta il punto di partenzadel secondo dramma, ERMODORO, il cui tema speculativo principale è l’azione.

Se il divino è presente nel mondo e si esprime necessariamente nella natura attraverso il continuo mutamento, quale sarà l’agire dell’uomo, una volta svelata la sua presenza? Si affronta qui il problema etico che sta alla fonte di ogni agire, prima ancora che l’etica riguardi una comunità, un vivere con gli altri: la prima comunità che noi viviamo è quella tra noi stessi e il mondo, e ancora più propriamente tra noi stessi e la presenza del divino nel mondo. Ermodoro, legislatore scacciato da Efeso, uomo-dio, conduce tutto il dramma con fermezza, consapevole del proprio compito che è il compito di tutto ciò che vive: Uno è il compito: celebrare il dio che vive, la sua libertà e presenza, sulle sue pianure come fiumi scorrere devoti con offerte d’acqua e tra le stelle accendere altre torce, una più chiara luce, così che alla pienezza sopraggiunga partecipe il saluto dei felici. Colui che lo onora diventa uomo libero, tra le consuetudini degli uomini riconosce un compito secondo le esigenze della sua natura e nel mondo.

Elios
Editoria - Arte - Spettacolo
info@elioseditoriale.org