Il Natale dei ricercatori italiani in Antartide

Alla stazione Mario Zucchelli, base italiana che si trova nella Baia di Ross in Antartide, la mezzanotte è arrivata con dodici ore di anticipo rispetto al nostro Paese. I ricercatori impegnati nella XXXIII spedizione hanno festeggiato nella sala mensa, dove sono state allestite le tavolate. Per tutti un menu sobrio, a base di zuppa di pesce e risotto bianco con crostini di pane. Anche quest’anno, prima del pranzo, come da tradizione, sono stati piantati alcuni cartelli con le “indicazioni stradali” per le terre d’origine: i ricercatori della Sapienza e dell’Università della Tuscia, Giulio Careddu e Armando Macali, hanno lasciato il segno del loro passaggio, scrivendo sulle frecce le distanze da Latina (16045 km) e da Luras (16056 km) fino alla terra del ghiaccio.

Da quando esiste il mondo, meno di trentamila persone hanno potuto visitare il Polo Sud. Non è semplice, infatti, raggiungere questa terra. Per secoli, prima di qualche coraggioso turista, da quelle parti si sono avventurati soltanto esploratori del calibro di Cook, Scott, Amundsen, spesso senza fare ritorno a casa, come successe al celebre capitano inglese, il cui diario venne ritrovato il 12 novembre 1912, undici mesi dopo la partenza. Proprio per capire che cosa ci sia sotto il continente freddo che chiamiamo Antartide, avendone spesso un’idea vaga, i ricercatori italiani della stazione Mario Zucchelli hanno costruito basi di lavoro nella Baia di Ross. Ed oggi, sempre più attrezzati, studiano il clima ed i suoi mutamenti, i movimenti degli oceani che determinano la temperatura mondiale.

Attraverso le ricerche al Polo Sud, dunque, gli esperti cercano di prevenire la scarsità delle correnti che portano in superficie il plancton e sfamano le zone povere della Terra, limitando le carestie. I ricercatori italiani lavorano 24 ore su 24, dormendo 6 ore a turno. Grande quanto Europa ed Australia messe assieme, l’Antartide appare a chi arriva un’immensa lastra bianca. L’unico segno dell’esistenza del continente è costituito dalle cime dei monti più alti che, di tanto in tanto, rompono la crosta di ghiaccio ed emergono, come il vulcano Erebus (4 mila metri di altezza) che sovrasta proprio la base in cui sventola il tricolore. Prima di ogni partenza, i ricercatori vengono sottoposti a visite mediche e test psicologici. Occorrono forza fisica e resistenza allo stress per trascorrere mesi in isolamento. Non è un caso che, dopo la prima esperienza, oltre il 60 per cento degli studiosi getti la spugna.

“Il Natale – spiega Edoardo Calizza – segna il giro di boa della spedizione, perché siamo a metà del periodo massimo di permanenza in Antartide”. Il 2017 si è concluso con un’altra impresa straordinaria: due palombari del Comando Subacquei e Incursori della Marina Militare del Varignano (La Spezia), impiegati lo scorso anno in Antartide a supporto delle attività di ricerca scientifica condotte dall’ENEA, sono stati premiati con la consegna dei brevetti e degli ambiti “Baschi blu”. Le immersioni hanno un ruolo fondamentale: i sub praticano un foro nel pack e rimangono sott’acqua anche per 50 minuti. Per contrastare la temperatura, che si aggira intorno ai -2°, i palombari utilizzano mute stagne, tute integrali in pile sotto la muta e maschere speciali. Un’impresa impegnativa ripagata dallo scenario unico che la natura offre a quella latitudine. Dopo l’immersione doccia calda e tè bollente.

Se all’apparenza l’Antartide può sembrare un deserto congelato, quasi privo di vegetazione, in realtà, l’ambiente subacqueo, custodito dalla banchisa ghiacciata, è popolato da abbondanti e vivaci comunità animali e vegetali. Proprio su questa biodiversità si basa uno dei motivi di ricerca scientifica che l’ENEA, e non solo, conduce in queste zone per conto del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide.

Elios
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