Michele Giordano è l’attuale direttore responsabile di Nocturno (www.nocturno.it), giornalista professionista, ha lavorato al Corriere Mercantile, a La Notte, alla Mondadori come inviato speciale. Laureato in architettura, ha scritto numerosi libri sul tema. Nel settore cinema, ha pubblicato “Moana e le altre, 20 anni di cinema porno in Italia”, (1998, con Andrea di Quarto), “La commedia erotica italiana” (1999), “Giganti buoni, il mito dell’uomo forte nel cinema italiano” (2000).
Ci racconta il cinema russo in poche righe?
“Beh, in poche righe è davvero un’impresa ardua. Dalle prime proiezioni storiche al parco Akvarium di San Pietroburgo realizzate dai fratelli Lumiere nel 1896, ad oggi, di acqua sotto i ponti ne è passata veramente tanta. La produzione russa e sovietica è immensa. Da Sergej Mikhajlovič Ejzenštejn, in Italia poco noto al grosso pubblico, se non per la battuta (“È una boiata pazzesca”) di Paolo Villaggio sulla Corazzata Potemkin del 1925, in realtà un grande film sulla rivoluzione, ad Andrej Tarkovskij il cui Andrej Rublëv, del 1966, storia di un pittore russo di icone del XV secolo, è uno dei miei preferiti. Il cinema russo ha inoltre affrontato in modo globale la propria letteratura: da Gogol a Dostoevskij da Tolstoj a Bulgakov e Gončarov. Letteratura ripresa al cinema anche in Italia: ricordo “Il cappotto”, da Gogol, con un grande Renato Rascel diretto da Alberto Lattuada o Le Notti bianche di Luchino Visconti con Marcello Mastroianni e Maria Schell, da Dostoevskij . Proprio Mastroianni, al contrario, sarà il protagonista di “Oci Ciornie”, del 1967, ispirato a racconti di Čechov, e diretto Nikita Sergeevič Michalkov, fra i più interessanti autori russi contemporanei, come pure Aleksandr Nikolaevič Sokurov, il cui “Faust” venne presentato proprio qui a Venezia nel 2011. E cito solo i più noti in Italia al grande pubblico non ai cinefili…”
Proviamo a costruire un itinerario con le storie di cinema ambientate in Russia…
“Se ci riferiamo al cinema occidentale, come credo lei intenda, un grande film è “Italiani brava gente”, del 1965, di Giuseppe De Santiscon la collaborazione di Dmitri Vasilyev, ambientato nel 1941, laddove le nostre truppe, al disfacimento, sono al seguito dei nazisti, con tante storie umane magistralmente interpretate, fra gli altri, da Andrea Checchi, Vittorio Cucciolla e Raffaele Pisu. Fra gli americani citerei “La croce di ferro” di Sam Peckinpack dove si affrontano fra loro due ufficiali tedeschi, Maximilian Schell e James Coburn, di stanza al fronte russo. Anche se il film fu girato in Jugoslavia nel 1977, i carrarmati sono quelli veri, i russi i T-34/85. Un film che suscitò molte stupide polemiche per come Peckinpack affrontò i personaggi tedeschi. Poi ci sono stati molti 007, anche se il più noto
“007 dalla Russia con amore”, di Terence Young, con Sean Connery e Daniela Bianchi fu girato nel 1962 soprattutto a Istanbul, non in Russia. Sa, il tema era quello, costante, della guerra fredda, e girare in Urss in quegli anni, era praticamente impossibile. Basti pensare che buona parte dei film di fantascienza americani di allora identificavano l’alieno cattivo con il russo. Solo molti anni dopo fecero capolino alieni buoni come ET…”
Qual è il genere del cinema russo, il regista e l’attore che preferisce? E perché?
“Personalmente amo molto quello storico e letterario: l’ “Oblomov” tratto da Gončarov, diretto da Michalkov del 1980, ad esempio, ma anche i film di Sokurov, che ho avuto il piacere di incontrare proprio a Venezia. Lessi una sua dichirazione su “Avvenire”, nel 2015, in occasione della presentazione di “Francofonia”: «E una assoluta, profonda delusione l’atteggiamento del mio Paese, perché per quanto la
Russia possa sembrare lontana, l’Europa è la nostra sorella maggiore e se lei è ammalata, anche noi non possiamo dirci in salute». La nave che in “Francofonia” trasporta le opere d’arte soccombe alla forza delle acque. Una metafora dell’arte che si piega alla violenza: i templi di Palmira distrutti dall’Isis, ad esempio, ma anche dell’ inutilità di questa lotta portata avanti nel film dal capitano della nave che preferisce salvare le opere d’arte che se stesso. Anche se il suo sforzo non servirà.”
Un commento complessivo su Venezia 74?
“Una Festival in tono minore, che risente, forse, della crisi economica e culturale e dove le code hanno rappresentato uno degli incubi della vita al Lido. Code per i servizi igienici, code per il pubblico costretto a rincorrere i biglietti, distribuiti in numero sempre minore, code per mangiare un panino o bere un caffè. Qualche bel film, blockbuster a parte, che preferisco vedere in sala in città a fine Festival, è stato presentato: mi è molto piaciuto un film islandese, “Under the tree” , ovvero “Sotto l’albero”, di Hafsteinn Gunnar Sigurðsson. Il tema è quello della violenza nascosta che esplode nelle liti condominiali e che qui sfocia in massacri anche piuttosto splatter. Il peggio di noi che viene fuori all’improvviso. Per il regista anche una metafora della guerra: “Cos’è una battaglia fra vicini di casa se non un guerra in scala minore?”, ha detto. È la riprova della qualità del cinema scandinavo: non a caso “Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza” dello svedese Roy Andersson vinse il Leone d’oro nel 2014. Un piccolo capolavoro”.