Regno Sottile una mostra di Giulia Manfredi

“REGNO SOTTILE” è il titolo della mostra personale di Giulia Manfredi, promossa dal Premio Cramum e curata da Sabino Maria Frassà. Da oggi 26 giugno al 20 luglio l’artista trasforma lo Studio Museo Francesco Messina di Milano in una serra in cui opere d’arte che crescono e vivono sono affiancate a opere realizzate con le collezioni dismesse di farfalle. L’obiettivo della mostra è far riflettere sulle nostre fragilità e sulla responsabilità di ognuno di noi nei confronti del Mondo che stiamo lasciando ai nostri figli.  In mostra per la prima volta 8 “opere vive” di Giulia Manfredi in cui la crescita delle piante nel marmo è parte integrante delle opere, che si trasformano e crescono come in una serra con il passare del tempo; le installazioni sono infatti completate da sistemi di irrigazione e luci “rosa” necessarie per la crescita delle piante. Si tratta delle sculture Geomanzia e Still waters run deep. Il curatore Frassà ha disposto le opere di Manfredi in modo tale da creare un dialogo e racconto con le opere di Francesco Messina: al piano terra le sculture in bronzo del Maestro sembrano essere persone vive nel un giardino creato da Manfredi.

La vitalità di questo piano lascia spazio nella cripta a una più intima riflessione sulla caducità della vita: l’installazione centrale di Giulia Manfredi (nel marmo è scolpito un letto di fiume che si sta prosciugando, ma che ancora ospita la vita delle piante) sembra essere, complice il marmo, la luce rosa e il sistema di irrigazione, una pietra tombale o un malato – ancora vivo – su un tavolo operatorio. Intorno le sculture a soggetto religioso di Messina e le opere in marmo e farfalle (ciclo Psicomanzie) di Manfredi. Come sintetizza il curatore Sabino Maria Frassà “L’esistenza per Giulia Manfredi è in fondo una bellissima serra, un giardino in equilibrio precario in cui le farfalle non volano più”.

L’impossibile rincorsa umana all’ordine e all’eternità. Commento critico del curatore Sabino Maria Frassà. Regno Sottile è la mostra che raccoglie e presenta per la prima volta le “opere vive” di Giulia Manfredi. L’artista mi parlò appena conosciuta del profondo bisogno di cambiare ed evolvere: era il 2017, Giulia Manfredi con la sua opera in resina Nigredo aveva appena vinto il Premio Cramum – 5° edizione al Grande Museo del Duomo di Milano – e la possibilità di intraprendere un percorso biennale che si sarebbe completato con una grande mostra personale, la prima in un Museo, allo Studio Museo Francesco Messina. Avevo di fronte un’artista trentatreenne con una solida personalità e un profilo artistico ben determinato. Rimasi molto stupito quando mi parlò di questa reale esigenza di limitare la ricerca sulla resina e di cambiare punto di vista: ciò implicava a mio giudizio stravolgere la propria “cifra artistica”, ovvero intraprendere un percorso tanto meritevole (quello di rimettersi sempre in discussione) quanto rischioso, soprattutto per una “giovane” artista che aveva appena cominciato a raccogliere i frutti del proprio lavoro. Non sapevo però che Giulia fosse diventata da poco madre e che, sebbene sia una persona che non ama né etichette né manifestazioni palesi di sé, l’avere un figlio aveva spostato ancora di più la sua attenzione sull’importanza del domani e sulla responsabilità di ciascuno di noi nei confronti del futuro.

l primi nuovi lavori che vidi dopo le resine erano opere in marmo: si trattava di Katabasi del 2016, in cui un video in loop di un ghiacciaio che si scioglie e si riforma era posto sotto dei solchi scavati in un blocco di marmo, e Psicomanzie, ciclo di opere che riportano in marmo i tracciati di giardini all’italiana, in cui al posto delle piante l’artista collocava ali di farfalle derivanti da collezioni dismesse di insetti. L’analisi di tali opere, che volutamente sono state inserite nella mostra, mi fece comprendere come la trasformazione di Giulia stesse avvenendo in realtà in modo organico e coerente. Del resto tema centrale di tutta la sua ricerca artistica è la precarietà dell’esistenza umana e l’indissolubile legame tra la vita e la morte.

Il titolo Regno Sottile – fortemente voluto dall’artista – riflette perciò la sua profonda convinzione che nulla sia per sempre. L’arte può solo aspirare a sublimare la finitezza dell’uomo, cercando di lasciare qualcosa di ciò che è stato a chi verrà. La parte inedita, se così si può dire della mostra, è il senso di responsabilità e la consapevolezza di ciò che stiamo lasciando a chi verrà dopo di noi. Questi due elementi – e non un forzato neo-ecologismo – sono perciò la chiave di lettura da cui partire per comprendere questa mostra in cui opere realizzate con elementi privi di vita (resine, pietre, piante morte e ali di farfalle) sono affiancate alle nuove “opere vive” – Geomanzia e Still waters run deep – in cui bonsai crescono all’interno di strutture in marmo. Il regno sottile si riferisce perciò a quello spazio di precarietà e di possibilità in cui si colloca la vita di ogni essere umano: un arco temporale limitato in cui ognuno di noi – più o meno consapevolmente – agirà e lascerà traccia. Per quanto piccoli noi esseri umani, più delle altre forme di vita, abbiamo la possibilità e la responsabilità di “determinare” il mondo che ci circonda non tanto nell’oggi, quanto e soprattutto nel futuro.

Regno sottile è volutamente un titolo evocativo, ma che rimane enigmatico e aperto a infinite possibili chiavi di lettura: dall’alchimia rinascimentale a Jung alla poetica delle opere di Pierre Huyghe. Sebbene l’artista non pratichi alcuna disciplina orientale, è innegabile e forte il rimando a una dimensione metafisica dell’esistenza umana. Del resto, se all’artista è estranea la pratica delle discipline olistiche orientali che collegano il concetto di “regno sottile” al quinto chakra la dimensione magica e metafisica sono in fondo trasversali e presenti in tutta la sua ricerca artistica. E’ la stessa artista a spiegare come la magia e l’alchimia – su cui tanto anche Jung si soffermò in relazione ai corpi sottili – siano centrali soprattutto in questi nuovi lavori Still waters run deep e Geomanzia, incentrati sulla logica e sulle geometrie dei giardini all’italiana: “mi affascina l’idea che alla base della progettazione dei giardini all’italiana ci sia una sorta di diagramma magico che prevedeva il posizionamento delle piante in determinati contesti geometrici per convogliare energie astrali e sfruttarne le proprietà. Ogni segmento del giardino era concepito come microcosmo dalla valenza sacra e veniva delimitato per non dissipare gli influssi magici che la geometria sacra canalizzava e conteneva. Al centro, a partire dall’hortus conclusus medioevale, si trovava simbolicamente l’acqua”. Non è un caso perciò che l’elemento centrale della mostra sia un “fiume” (l’opera Still waters run deep) che ha scavato dei solchi in sei blocchi di marmo, riempiti dall’artista con terra e con una sorta di “ecosistema botanico in miniatura”.

L’elemento del “riempire” l’opera di terra e piante permette di sottolineare una peculiarità di questo nuovo ciclo di opere: mentre molti artisti lavorano per sottrazione, Giulia Manfredi ha scelto di lavorare al contrario per addizione. E’ partita dai lavori passati che erano caratterizzati dalla privazione sia a livello materiale (solchi scavati in Katabasi) che di contenuto (privazione della vita come nelle opere Orfeo e Euridice anch’esse in mostra) e ha deciso di ricolmare tale mancanza con la materia viva (terra e piante). Da una prima lettura si potrebbe scorgere in tale processo una speranza salvifica. E’ un inganno interpretativo nel quale però non dobbiamo cadere: Giulia Manfredi crede fortemente che l’esistenza umana sia un continuo ciclo in cui la vita e la morte sono elementi che si compenetrano e coesistono senza mai negarsi. Al riguardo è emblematico che nel 2015 abbia voluto intitolare una tra le sue mostre più importanti Ouroboros, che è il serpente che si mangia la coda. Anche in queste nuove opere “vive” e basate sull’ordine dei giardini formali è insito in realtà il caos e il disordine: la pianta crescerà sgretolando il marmo per poi morire anch’essa. Non solo la stessa sopravvivenza e forma delle piante – sempre dei bonsai – è possibile nella misura e solo fino a quando un altro essere (umano) se ne prende cura. La stessa idea di giardino all’italiana è uno strenuo tentativo dell’uomo di ordinare il caos e la natura non “educata”. Si comprende così come il nuovo ciclo di “opere vive” sia il naturale completamento della cifra artistica di Giulia Manfredi, un tassello che l’artista non aveva ancora esplorato per comprendere meglio quel regno sottile in cui tutti noi viviamo e che dovremmo vivere al meglio con consapevolezza dei nostri limiti e responsabilità per chi verrà dopo di noi.

1 In due anni Giulia Manfredi realizza solo sei opere in resina, due delle quali – “Orfeo” e “Euridice” – in mostra.

2 Il ricorrere al marmo è stato reso senz’altro possibile e facilitato dal marito Alberto Emiliano Durante, artista noto per le sue sculture in marmo.

3 Il quinto chakra permetterebbe di ascendere ai livelli metafisici superiori che prescindono la corporalità.

4 Per approfondire si veda C.G. Jung, Opere vol. XII – Psicologia e alchimia, pp. 283-284.

5 Per approfondire si veda Baschera R., Tagliabue W., Lo spazio magico. Il linguaggio esoterico del giardino, Mondadori, Milano, 1990.

6 Estratto dall’intervista del curatore all’artista realizzata telefonicamente il 1° maggio 2019.

7 Ouroboros, mostra personale di Giulia Manfredi al MIC di Faenza 2015, curata da Irene Biolchini.

8 Educata è il nome di un’opera di Rudy Cremonini molto amata dall’artista in quanto riflette il tentativo dell’uomo di imporre il suo ordine su una natura “non educata”, dalla quale non riesce a farsi obbedire.

Giulia Manfredi è nata a Castelfranco Emilia nel 1984, si è laureata in pittura a Bologna all’Accademia di Belle Arti nel 2008 con una tesi sui nuovi mezzi comunicativi e la tecnologia satellitare. Ha vissuto a Berlino dal 2006 al 2014 dove ha frequentato corsi all’UDK (università delle arti) in comunicazione visiva e belle arti con Hito Steyerl. Ha esposto in numerose città e sedi sia in Italia ed che in Europa, tra cui, la Biennale del Mediterraneo ad Ancona (2013), il MIC di Faenza(2015), il Fuorisalone di Milano presso Ventura Centrale (2018). Nel 2017 vince al Grande Museo del Duomo di Milano la quinta edizione del Premio Cramum per giovani artisti. Attualmente vive e lavora a Roma.

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